Harry Potter? No grazie: chiamatelo Remo Altavilla. E’ lui il simpatico ed irresistibile protagonista dell’ultimo romanzo di Domenico D’Alessandro, “Remo Altavilla e le streghe di Malevento”, edito per i tipi “0111edizioni” nella collana LaVerde. Un racconto rigorosamente… “made in Campania” o meglio “in Sannio”, in cui, grazie a uno stile narrativo semplice ma efficace, si sviluppa una trama ricca di colpi di scena, con spunti a tratti ironici e divertenti, sempre piena di suspense, capace di tenere desta l’attenzione del lettore dal primo all’ultimo capitolo.

Originario di Pompei (Napoli), docente di lingue e preside del liceo scientifico “Caccioppoli” di Scafati (Salerno), D’Alessandro ha scelto di ambientare il suo racconto in una terra che in fatto di “stregonerie” non ha non ha nulla da invidiare alla celebre saga del maghetto di J. K. Rowling: Benevento, appunto. L’altra “Benevento”. Un mondo magico e pericoloso che si materializza tra le strade, le case e le viscere del capoluogo sannita.

L’eroe-fanciullo partorito dalla fantasia del preside-scrittore è un ragazzo qualunque, costretto a misurarsi con i problemi di tutti i giorni. Noia compresa. Alle spalle ha due genitori apprensivi e superprotettivi, il solito bulletto che non gli dà tregua ed un paio di professoresse antipatiche che invece di proteggerlo quasi quasi fanno il tifo per i prepotenti della classe. Uno come tanti, insomma. Il classico compagno di banco che non ne azzecca una, neanche quando prova a difendersi.

Remo è un ragazzo dalla vita normale. Eppure in un sol giorno tutto cambia attorno a lui e quello che sembra incredibile si trasforma in realtà. Così, con una pattuglia di personaggi improbabili, il ragazzino parte alla scoperta dell’universo sotterraneo che si nasconde sotto le fondamenta di Benevento e si cimenta con un antico mistero da cui sembra dipendere il destino del mondo.

Una storia particolare e suggestiva, narrata con piena maestria da Domenico D’Alessandro, il quale fa incetta di giochi di parole e citazioni storiche per dare il nome a luoghi, personaggi e intrugli magici citati nel romanzo. E’ il caso di “Altavilla”, ad esempio, cognome preso in prestito dal casato dei re Normanni. O il nome dato al velivolo che porta in salvo Remo ed i suoi amici, “Watcher of the Skies” tratto da un brano dei Genesis scritto sul tetto di un albergo di Napoli durante la tournée italiana della storica band britannica nel 1972. E ancora: come non citare la straordinaria galleria dei vari tè utilizzati da Bernardo, un altro dei protagonisti del romanzo, la cui etichetta sembra quasi suggerire le proprietà di cui queste bevande sono dotate? Il “tè-mpestivo”, ad esempio, il cui sorso permette di compiere rapidi balzi in avanti o all’indietro. O il “tè-lefono”, infuso che aiuta a sentire meglio. E che dire, infine, del “tè-nebra” che rende invisibili chi lo sorseggia?

Ogni cosa, ogni aspetto del racconto viene descritto con una precisione che lascia il lettore a bocca aperta, lasciando che le caratteristiche fisiche e comportamentali dei vari personaggi insieme ai muri, alle scalinate ad ai palazzi della "Maleventum di sotto", si materializzino, come per magia, nel più incantevole e variopinto dei viaggi fantastici.