Con questo stralcio dai “Personaggi Popolari Torresi” di Nino Vicidomini intendiamo omaggiare un altro pezzo storico della nostra città venuto a mancare in queste ultime ore.

Ciccio ’o bbarone: favorite… ca ve faccio cunzulà!

Barone Francesco Giuseppe, (Barone non stava per titolo nobiliare, era proprio il suo autentico cognome) classe 1933. Impeccabilmente abbigliato con cappello e grembiule bianco (e quando non aveva le mani in pasta indossava anche i guanti) alla veneranda età che si ritrovava, impugnando una grande schiumarola, girava e rivoltava con abile destrezza i panzarotti che friggevano nella gran padella di rame stagnata.
Alla giusta cottura li prelevava, sempre con la schiumarola, e dopo averli fatti appena sgocciolare li deponeva nell’apposito recipiente espositivo per la vendita ai clienti che, a tamburo battente, ”spicciavano” i suoi assidui collaboratori, tra i quali c’era Felice e suo genero Giulio.
Successivamente, sempre con lo stesso tempismo, dopo essersi bagnato i polpastrelli nella bacinella con l’acqua, disposta alla sua destra, raschiava dalla “scafaréa” (recipiente tronco conico contenente l’impasto; una volta era di terracotta smaltata) delle minime quantità di pasta cresciuta, le manipolava appena, una ad una, e le faceva cadere nell’olio rovente dove, come per magia, diventavano delle gonfie e biondissime zeppole da gustare con la semplicissima aggiunta di un pizzico di sale.

Ed è proprio in questo frangente che, se vi trovavate a passare nei pressi dell’Annunziata, avvertivate subito una prelibata fragranza che richiamava un po’ tutti a favorire. Si trattava dell’inconfondibile ’addòre d’ ’o ffurmaggio emanata dalla sua invitante postazione in continua attività.

Franchino ’o bbaròne. Era questo il nome che gli dava ogni sua conoscenza, però mi confidò che gli piaceva tanto essere chiamato Ciccio.
Era molto conosciuto e rinomato finanche nei paesi del nostro vicinato, proprio per la squisitezza dei suoi panzarotti.
Non solo nelle sere d’inverno ma anche nella calda stagione. la gente, proveniente da ogni dove, si accalcava presso la sua friggitoria mobile per comprare zeppole, “scagliuòzzi” e panzarotti bollenti; vere e proprie squisitezze per i palati più vogliosi.
Una vita spesa, quella del nostro Ciccio, a perfezionare sempre più quest’umile mestiere che, stando al suo fermo asserire, espletava da quando aveva la tenerissima età di 16 anni.
Cominciò con la caratteristica carretta che aveva la fornace alimentata con il carbone coke ed era sufficientemente illuminata con la tipica lampada all’acetilene a tre fiammelle. Per moltissimi anni permase in Piazza Santa Teresa, (Piazza Ernesto Cesàro) nelle prossimità dell’omonima farmacia ed esattamente all’angolo della Via Domenico Cirillo, la strada che sale dal “Vallone”; successivamente si spostò là dove attualmente si trovava: sul margine inferiore a destra della piazza antistante la chiesa dell’Annunziata.

Qui, ogni giorno, impiantava bottega Ciccio ’o bbaròne; proprio nelle adiacenze di un altro tipico personaggio; ossia Ninuccio ’o semmentàro.
È qui che Ciccio soddisfava un po’ tutte le esigenze dei suoi clienti mattutini; ciascuno dei quali gli portava una giusta porzione di ripieno per commissionargli una grande zeppola da mangiare a merenda.
( Ce n’era per tutti i gusti: con scarole capperi e ulive, con broccoli e salsiccia, con la ricotta, con i bianchetti, con le alici e così via).
Ma… era di sera che si assisteva allo “strùscio”, vero e proprio, effettuato dagli assidui acquirenti provenienti da ogni dove.
Ciccio mi disse, poggiando la mano sul fuoco, che aveva molti clienti residenti all’estero; nostri concittadini che ogni qual volta ritornavano a Torre, immancabilmente, si recavano a fargli visita per comprare le sue prelibate crocchette di patate.
Parlandomi all’orecchio mi confidò, con tanto orgoglio, che avrebbero fatto a mazzate per lui se solamente qualcuno avesse messo in dubbio la genuinità dei suoi manufatti. Questo mestiere, portato avanti da generazioni, coinvolgeva l’intero nucleo familiare del nostro personaggio.
Sono stato a fargli visita in Via Pompei ed ho notato l’impegno profuso da tutti gli addetti nella minuziosa lavorazione delle patate lessate.
Centinaia di pezzi affusolati erano disposti con perfetta simmetria nei vari contenitori d’acciaio, pronti per la frittura serale.
Un vero spettacolo!…
All’opera c’erano sia la consorte che le figlie. Parlammo a lungo accanto al braciere, al tepore della mondiglia consumata che, di tanto in tanto, Ciccio sbraciava per riscaldarsi meglio le mani e sfregarsele, poi, come per soddisfazione.
Era pago e felice Ciccio quando la figlia scegliendo le foto da darmi per questo servizio gliele proponeva in rassegna una per volta.

Nino Vicidomini