Galeotta fu una passeggiata a Napoli per gustare un bel caffè al Gambrinus e ancora più bella fu l’occasione per raccontare agli amici comuni la storia dello Stemma della Provincia di Napoli
Napoli terra di ambiti regni, una nazionalità difficile da identificare simbolicamente, con gli innumerevoli avvicendamenti di dinastie e regni. L’ insegna della città è identificata oggi con i colori giallo “(oro) e rosso di uno scudo troncato dalla forma sannitica cimata dalla corona di mura merlata” I colori richiamano il Seggio Nobile del Popolo privato però dalla P. In era precristiana gli abitanti di Paleopoli l’ antica Napoli, adoravano il sole e la luna e quando Costantino il Grande entrò nella città con sua madre Elena i Senatori ed i Consoli napoletani, per ossequiarli, approntarono due grandi gonfaloni uno di broccato giallo e l’ altro di rosso per onorare madre e figlio . Ciò piacque all’ Imperatore che decretò l’ adozione dei due colori come impresa della città. Carlo d’Angiò nel 1266 adottò l’ insegna dei Capetingi di Francia come emblema del Regno di Napoli: “ azzurro seminato di gigli d’oro sormontato in capo da un lambello di rosso”, dopo la cacciata dei Francesi dalla Sicilia. Nel 1442 Alfonso d’Aragona mantiene la sue insegne “ d’oro caricati da pali di rosso”. Il figlio Ferdinando I preferì, per indicarne il regno, inserire nel proprio stemma quello degli Angiò a suggellare una continuità istituzionale di pretesa su Napoli e la Sicilia. Con l’ avvento dei Borbone lo stemma del Regno diventa un “compendium” delle dinastie che si sono alternate. Ai precedenti simboli reali citati vengono aggiunti gli scudi dei Re Cattolici, quelli reali ed imperiali della Casa d’Austria, lo scudo di Filippo V, ed in fine quello di Carlo Borbone aggiunto dagli scudi dei Farnesi e dei Medici. A tanta difficoltà rappresentativa, piuttosto incomprensibile per il popolo, nasce l’ esigenza di una subitanea rappresentazione ed identificazione visiva dei poteri della dinastia regnante. Ecco che compare, specie nel periodo Murattiano, un simbolo equestre:”un cavallo furente ed inalberato”Originariamente l’ animale compare in ben due seggi nobili, quello di Capuana: “ d’azzurro al cavallo mansueto d’oro” ed in quello di Nido: d’oro al cavallo inalberato furente di nero Ma il perché di questo simbolo ricorrente apparso sulle aste delle bandiere di Gioacchino Murat, sui sigilli cartacei dei Borbone ed infine come simbolo della provincia di Napoli? La storia è bella e affascinante, ancora di più di quella della sirena Partenope assurta oggi come identificazione romantica della città. Diodoro Siculo storico greco-siceliota nella Bibliotecha Historica libro 5° parlando della personificazione di Nettuno lo dipinge come celebre e provetto domatore di cavalli. In questa opera universale sulla origine del mondo l’ autore dice che i sacerdoti del gentilesimo, religione pagana, sotto la deità di Nettuno intesero nascondere quella immensa congerie di tutte le acque del mare adunate nel più basso meandro del nostro globo, anzi secondo il sistema greco : a meglio manifestare l’effetto prodotto dall’infimo elemento per lo rapporto colle azioni lo vollero espresso sotto la forma di cavallo sfrenato simbolo che credettero più idoneo a rappresentare l’attività e la naturale incostanza di tali acque. Quindi Nettuno dio tutelare delle mura delle città e delle fondamenta, al quale simulacro si offriva il sacrificio qualora la terra tremava forzata dal potere distruttivo del nume. Diversa è la considerazione di alcuni archeologi che identificano l’ esistenza a Napoli di questa statua equestre alle spalle del tempio di Apollo, eretto in onore del dio solare nel largo tra la casa dei Fabii e la casa di Melacoma, illustre atleta. Il cavallo si ergeva su di un piedistallo di marmo cipollazzo a rappresentare forse uno dei corsieri del cocchio apollineo. Invece la credenza popolare vuole che Virgilio, poeta e mago, avesse fatto costruire il cavallo sotto una certa costellazione in modo da far guarire tutte le malattie di questi animali.. Infatti gli aurighi costringevano i suddetti animali a fare tre volte il giro del simulacro equestre pieni di fiducia ad ottenere la guarigione, cosa che talvolta fortuitamente avveniva. Nel 1252 il Re Corrado della dinastia Sveva dopo un lungo assedio a Napoli entrò trionfante in città e mirando la bellissima statua posta dinnanzi alla chiesa di Santa Restituita, costruita sui resti del tempio di Apollo, impose il morso al cavallo facendo incidere sulle briglie : HACTENUS EFFRENIS DOMINI NUNC PARET HABENIS ; REX DOMAT HUNC AEQUUS PAERTHENOPENSIS EQUUM. ( Caval sfrenato,al freno ora è soggetto : lo doma il Re Partenopeo perfetto) identificandolo così per i posteri. Nel 1322 l’Arcivescovo di Napoli per eliminare la sopravvissuta superstizione popolare fece miseramente disfare il colosso di bronzo fondendone il corpo per la campana del Duomo. La testa unita al collo ed alle briglie fu sottratta fortunatamente alla fusione. Ne venne in possesso il primo Conte di Maddaloni, Don Diomede Carafa che la sistemò su di un piedistallo nel cortile del suo palazzo in via Nilo. Nel 1809 questo preziosissimo reperto venne trasferito nel Real Museo Borbonico dove trovasi attualmente, lasciando nel cortile del palazzo Carafa una copia in terracotta per non perderne memoria. Oggi questa meraviglia ellenica la si può ammirare all’ uscita della Stazione Museo linea 1 della Metropolitana di Napoli. Stazione disegnata da Gae Aulenti nel 1999 ed inaugurata nel 2001. Sorretto da un supporto aereo in metallo illuminato a giorno dalla luce dei lucernai,“ a’ capa e’ Napule” colpisce per la sua straordinaria grandezza e bellezza fatta di tensione, nervosismo, purezza e classicità delle linee. I buchi del morso sono evidenti, il richiamo al movimento in alberato ed al corpo sfrenato è immediato. Infine su una cartolina militare del 1900, si nota la Brigata Napoli del 75° Reggimento di Fanteria raffigurata dal bellissimo cavallo partenopeo cavalcato da una splendida Vittoria alata. Emozionante il ritrovamento cartaceo, la bellezza del corsiero eguaglia quello dello stemma provinciale , sono essi splendidi animali, incroci di cavalli etruschi, greci, arabi… ma questa è un’ altra storia… …
AMOVI