NAPOLI. Una delle città che sta più pagando la confusione legislativa sull’argomento è Napoli. Il capoluogo campano ha visto l’approvazione di una legge comunale per la riduzione degli orari di gioco a 5 ore al giorno. Un taglio drastico rispetto alle abitudini dei gestori, spesso aperti dalla mattina fino a circa mezzanotte. Non serve essere esperti per capire che il provvedimento ha tagliato le gambe agli esercenti, riducendo fino a un terzo gli introiti. Senza però diminuire le imposte, gravando in maniera insostenibile sulle loro spese. Il problema è ancora più pesante se si considera che in altre città non lontane da Napoli è in vigore la legislazione statale, che di fatto non limita gli orari di apertura per le slot machine. Troppo semplice per i giocatori più incalliti fare qualche chilometro in macchina per proseguire nel proprio vizio. Facendo le fortune di altri gestori in altri comuni, mentre il capoluogo perde colpi.

La Campania si trova al terzo posto nella classifica italiana del gioco d’azzardo. Con un volume di gioco da 6 miliardi di euro all’anno, la regione incalza il Lazio per la seconda piazza, mentre la Lombardia a quota 14 sembra irraggiungibile. Queste tre zone da sole costituiscono il 40% del mercato complessivo del gambling nel nostro Paese, scavando un solco incolmabile. Come appare chiaro spulciando i dati del fondo della classifica inclusa nell’infografica pubblicata recentemente da Giochidislots.com: Basilicata, Molise e Valle d’Aosta insieme non arrivano a un miliardo di euro all’anno di volume di gioco. Forse per questo gli enti locali del “trio delle meraviglie dell’azzardo” sono tra i più attivi, come dimostrano le misure pensate in diversi comuni lombardi e persino a Roma. 

Tutte proposte per ora rimaste sul tavolo, ma almeno il meccanismo pare essermi mosso. A Napoli invece la legislazione è più chiara, e non aiuta i gestori locali. L’obiettivo è arrivare alla riduzione del numero di slot machine sul suolo cittadino: a fine 2016 si contavano quasi 15.000 macchinette, il sogno sarebbe la riduzione del 30% promessa da Renzi qualche mese prima delle dimissioni.

Certo un colpaccio per i sognatori da no slot, che riuscirebbero a ridurre il volume di gioco. È però il caso di chiedersi quanto questo sistema da proibizionismo assoluto possa aiutare chi fruisce del servizio. Il rischio è di punire soltanto le imprese, privandole di clienti e introiti di vitale importanza. L’intervento Statale e locale non ha riguardato l’online, in cui l’accesso è ancora illimitato. Con la diffusione dei mezzi tecnologici attuali, le vecchie case da gioco e i mini-casinò potrebbero diventare solo un lontano ricordo. O, nel peggiore dei casi, tornare nel campo dell’illegalità. Tutte eventualità da considerare prima di applicare il pugno duro a Napoli, e solo a Napoli. L’intervento è necessario da parte dello Stato, magari con ulteriori incentivi nei confronti degli esercenti. In tempi brevi, se possibile: l’anno della svolta, almeno sulla carta, è già iniziato.

 

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