“Dover oggi rinunciare alla branca di medicina nucleare del CMO si ripercuote sull’intera attività aziendale. Negli ultimi giorni, dopo aver abbandonato ogni speranza di poter riaprire il reparto, ci siamo interrogati sulla possibilità di salvare il resto dell’azienda, o in alternativa far decadere tutto. Dopo aver eliminato tutti i costi possibili, è emersa una necessità irreversibile. Oggi l’azienda è in esubero di circa 70 unità lavorative su 140. Pertanto saranno avviate nei prossimi giorni tutte le procedure previste dalla legge per poter addivenire ad una soluzione che tuteli tutti i dipendenti allo stesso modo” – è quanto dichiara Luigi Marulo, Amministratore del CMO di Torre Annunziata nel corso della conferenza stampa tenutasi presso la sede di Via Roma, a seguito della decisione del Tribunale di Torre Annunziata di negare il dissequestro dello stabile ospitante la medicina nucleare.

“Dopo la decisione del Tribunale, anche con il contributo dei nostri consulenti legali e tecnici, abbiamo vagliato tutte le possibili soluzioni per poter riaprire la struttura ed erogare le prestazioni in regime di accreditamento. Ma allo stato è impossibile prevedere le modalità e i tempi per poter raggiungere tale obiettivo. Abbiamo dovuto, nostro malgrado, prendere atto di tale circostanza e dovuto maturare una serie di decisioni basate, tra l’altro, prendendo atto di provvedimenti giudiziali interlocutori (atteso che il processo inizierà non prima del 29 marzo 2019), ma con conseguenze reali incalcolabili” – continua Marulo.

L’iter giudiziale ed amministrativo, avviato nel marzo 2017, con azioni penali, amministrative comunali e amministrative sanitarie, ha già fortemente penalizzato la struttura, essendo stata la stessa chiusa per oltre sette mesi fino al fatidico 30 luglio 2018. In questi sette mesi (giugno 2017-gennaio 2018), l’impresa ha onorato gli impegni verso tutti i dipendenti, collaboratori e fornitori. “Il danno subito, calcolabile per decine di milioni di euro, non sarebbe nuovamente sostenibile per un ulteriore, indefinito, periodo di tempo” – spiegano i vertici del CMO.

“Come famiglia imprenditoriale di Torre Annunziata, non abbiamo potuto eludere alcune amare domande: è il caso di proseguire nell’impegno in questo territorio? Sarebbe opportuno trasferire tutto? Non ci conviene vendere quanto finora realizzato? A queste domande, sapremo risponderci nei prossimi mesi. Andiamo avanti con determinazione con ciò che resta delle nostre aziende, ma faremo il possibile per trovare risposte a questi quesiti, che ci assillano quotidianamente” – spiega Marulo.

Avevamo puntato ad un concetto di ‘impresa sociale’, ovvero di impresa a disposizione della società: di cervelli, di pazienti e clienti, di investitori, di istituzioni, dei cittadini, di altre imprese, insomma del Territorio. In quest’ottica, avevamo lavorato per la creazione di un polo oncologico di eccellenza sanitaria, peraltro condiviso con Invitalia, per un finanziamento complessivo di circa 35 milioni di euro. Le incredibili resistenze e incomprensibili reazioni incontrate nelle Istituzioni hanno determinato la revoca di questo finanziamento. I sogni erano chiari: avremmo voluto dimostrare ai nostri figli che si poteva realizzare una buona economia anche su territori complessi come il nostro, e creare un’impresa di famiglie, non di famiglia. Purtroppo, ci siamo resi conto che alcune categorie sociali non sono pronte al nostro concetto di impresa sociale, ovvero, forse, siamo noi a non essere adeguati per questo territorio. Realizzare una struttura capace di attirare 150 mila pazienti l’anno, a 400 mt. da Palazzo Fienga è una sfida che, probabilmente, avrebbe dovuto determinare un concreto entusiasmo nelle Istituzioni. Al contrario, non abbiamo riscontrato alcuna forma di partecipazione istituzionale. Una sconfitta per tutti. Ora però resta una domanda doverosa da porre alle Istituzioni: chi ha vinto in questa vicenda?” – conclude Marulo.


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